Quando sono stato invitato a vedere in anteprima Richard Jewell, l’ultima opera di Clint Eastwood, in uscita nelle sale italiane il 16 gennaio, ammetto che non ero particolarmente attratto o interessato al film. Sebbene sappia per esperienza diretta della grande qualità del lavoro del regista (nettamente superiore a quella da attore), non vengo mai particolarmente attirato dalle sue pellicole. Non saprei nemmeno spiegarne il motivo. Se non mi avessero invitato, non l’avrei visto al cinema. È stato perciò particolarmente piacevole rimanere sorpreso, poter ammettere l’errore al termine della proiezione e uscire dalla sala pienamente soddisfatto.
Basato su fatti realmente accaduti, Richard Jewell è la storia di ciò che può accadere quando le notizie riportate dai media hanno la meglio sulla verità. Sebbene si svolga nel 1996, tutta la questione etica e morale è più che attuale e totalmente trasferibile anche al potere che hanno assunto i social media odierni.
Richard Jewell (interpretato da Paul Walter Hauser), un uomo sovrappeso che vive ancora con la madre (una sempre straordinaria Kathy Bates, candidata all’Oscar per la parte) e vagamente inquietante nei rapporti interpersonali, è un fanatico dei corpi di polizia e delle armi. Il suo più grande desiderio è entrare nelle forze dell’ordine. Conosce meglio di qualsiasi agente tutte le procedure e tutti i protocolli di sicurezza. Tuttavia, proprio il suo fanatismo e l’eccesso di zelo (sfociato più volte in abuso di potere) gli hanno rovinato la carriera, costringendolo a ripiegare in servizi di sicurezza.
Ma non è il classico antieroe dai saldi principi, pronto a infrangere le regole per la giustizia, che riscuote affetto e amore dal pubblico. È piuttosto il classico (e realistico) esaltato americano che nasconde decine di fucili in camera da letto. Sebbene Richard esprima più volte il suo desiderio di essere uno dei “buoni” che difende gli innocenti dai “cattivi”, è palese che sia ben più affascinato dal rispetto che il distintivo suscita negli altri. Un rispetto che non ha mai ricevuto. Insomma, nel 90% dei film, Richard non sarebbe il protagonista, bensì la macchietta antipatica e patetica se non addirittura l’antagonista. Ma questo non è un film. Questa è storia vera. E qui Richard è proprio il “buono” che aspirava ad essere, nonostante tutti i suoi tanti difetti e le sue assurdità da fanatico.
Durante uno dei concerti in occasione delle Olimpiadi di Atlanta del 1996, per le quali lavora nel servizio di sicurezza, Richard infatti scopre uno zaino con una bomba sotto una panchina e, grazie alla sua segnalazione, salva centinaia di vite, limitando di molto morti e feriti. In un attimo diventa un eroe nazionale, tutti vogliono intervistarlo, conoscerlo, scriverne e pubblicare libri sulla sua storia. Un successo che Richard riesce a malapena a gestire, prima di diventare, in pochi giorni, anche il sospettato numero uno dell’FBI, attaccato sia dalla stampa che dalla popolazione. Possibile che il frustrato e solitario aspirante poliziotto in cerca di fama abbia messo una bomba solo per passare da eroe nello scoprirla? L’agente Shaw dell’FBI (Jon Hamm) ne è certo, forte di numerosi casi analoghi e della peculiare personalità del sospettato.
Mentre vede tutta la sua vita (e quella della madre) andare a rotoli, Jewell si rivolge all’avvocato indipendente e ribelle Watson Bryant (un grande Sam Rockwell), che anni prima gli aveva dimostrato amicizia e rispetto, per difendersi dalle accuse di due delle forze più potenti del mondo: il governo degli Stati Uniti e i media. Insieme, i due improbabili amici, con idee agli antipodi sull’autorità costituita, si batteranno per far cadere le accuse e dimostrare l’innocenza di Richard.
Non ci sono particolari colpi di scena in una trama che non è frutto di fantasia, ma storia nota. Per questo la pellicola punta tutto sulla magistrale regia di Eastwood, sull’impeccabile recitazione del cast e sulla frizzante sceneggiatura di Billy Ray che riesce ad alternare dialoghi e scene incredibilmente divertenti a quelle più commoventi, e che rende davvero impossibile non affezionarsi a questo ragazzone fanatico, armaiolo e tendenzialmente fascistoide che nel 1996 ha salvato centinaia di persone.
Ciò che risulta evidente è una netta condanna ai media e ai processi mediatici, che se nel 1996 riguardavano solo stampa e TV, oggi si estendono ai social. La ricerca frenetica del titolo da prima pagina (o da trend topic, continuando la mia attualizzazione) è un male che il tempo e le continue denunce non sono riuscite a debellare. Influenzare l’opinione pubblica con prove sommarie e titoli ad effetto ha ovviamente ripercussioni anche nelle indagini in corso e nei successivi processi. Chissà quanti Richard Jewell ci sono stati nel corso degli anni e quanti ce ne saranno ancora… Si spera che la sua storia, anche attraverso la pellicola di Clint Eastwood, possa far riflettere chi di dovere. Purtroppo non ci spererei.